Alessandro Manzoni, uno di noi?

Se Alessandro Manzoni fosse un contemporaneo farebbe parte dei “nostri”. È risaputo infatti che soffriva di tanta roba, per dirla col linguaggio delle nuove generazioni: aveva agorafobia, attacchi di panico, ansia anticipatoria, insonnia… era balbuziente e ipocondriaco, timoroso nella folla, negli spazi aperti, nel vuoto… addirittura non camminava se il suolo era bagnato… insomma, un nevrotico doc !

Peccato per lui essere nato in un’epoca in cui questi disagi non venivano curati e affrontati come oggi. Manzoni non aveva fiducia nei medici del suo tempo, pertanto viveva rintanato, evitando situazioni per lui critiche, cercando di attutire i suoi disagi con mille strategie. Sicuramente non era un depresso, perché la sua biografia testimonia come abbia cercato di costruirsi una vita degna di essere vissuta.

Nacque a Milano, il 7 marzo 1785, frutto di una relazione extra coniugale della madre. Nessuno volle farsi carico del piccolo. La madre giovane e mondana partì per Parigi, il padre biologico non lo riconobbe, il padre legale lo mandò a balia per i primi anni e poi in collegio. Nessuno che si senta così abbandonato e rifiutato nei primi anni di vita può sviluppare una personalità solida ed equilibrata. A vent’anni raggiunse a Parigi sua madre e finalmente riuscì a godere dell’amore materno, così a lungo mancato; qui conobbe la donna che sarebbe diventata sua moglie e che gli diede dieci figli. Insieme decisero di rientrare a Milano, dove vissero immersi nel benessere economico, ma segnati da lutti e malattie. Alla fine, morì anche l’adorata moglie. Manzoni non restò solo a lungo, si risposò dopo poco tempo, ma rimase vedovo nuovamente. Morì nel 1873 a 88 anni a causa di una caduta.

Molti autori si sono occupati delle sue nevrosi, oltre che delle sue opere. Diciamo che è stato messo sul lettino dell’analista, per cercare di individuare le radici del suo malessere. Come già accennato precedentemente sicuramente la sua infanzia è stata connotata dal rifiuto. Il 2 aprile 1810, a 25 anni, si trova a Place de la Concorde: sono in corso i festeggiamenti per le nozze di Napoleone e Maria Luisa. Scoppiano alcuni petardi e nella folla si crea disordine. Pare che la moglie gli svenga tra le braccia, mentre lui stesso è colto da un attacco di panico. Si rifugia in chiesa, dove inizia a pregare, nonostante non fosse mai stato praticante. In qualche modo il suo stato d’animo si placa e da lì inizia a rifugiarsi nella religione per cercare conforto e stabilità. In seguito le sue vertigini si fecero così acute che persino mentre pranzava, o riceveva gli ospiti, aveva sempre accanto a sé una sedia alla quale appoggiare un braccio, una tattica per combattere i giramenti di testa… la sedia era un’ancora mediante la quale assicurarsi alla terra.

Non usciva mai da solo, anche se amava passeggiare; per esorcizzare le sue paure fece piantare tantissimi alberi lungo i viali delle sue ville fuori Milano. Manzoni dichiarava: «L’immaginazione ha un grosso ruolo nei miei timori, mi fa vedere pericoli inesistenti, ma questo nemico non basta conoscerlo per averlo vinto». Oggi possiamo intuire che la sofferenza di Alessandro derivava da un’infanzia terribile, che lo rese insicuro e fragile. Inoltre lo scrittore viveva un grosso conflitto interiore: le sue posizioni teorico letterarie negavano la libera immaginazione poetica. Secondo lui ogni componimento doveva fondarsi esclusivamente sul vero storico. Era contro l’utilizzo della fantasia. In un’epoca che elogiava la libertà creatrice del poeta, Manzoni si discostava e insisteva a scambiare finzione per falsità. Molti lo criticarono, dichiarando che inventare non è una colpa di cui vergognarsi. A posteriori ci sembra di capire che per Manzoni la scrittura è strumento di controllo. Il suo lavoro letterario rappresenta il tentativo di opporsi al richiamo dell’abisso. La letteratura per lui è un prodotto della ragione… per questo, pur essendo un romantico, considerato insieme a Leopardi, un gigante dell’Ottocento, il nostro Don Lisander non cambiò posizione: restò abbarbicato alle sue idee come alla sua sedia. Per non dover inventare nulla finì col non scrivere più nulla! I promessi sposi, terminati nel 1827, furono il suo ultimo lavoro.

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