Le parole per dirlo. Normalità psicologica e lessico del panico.

Il panico, dalla patologia psichiatrica alla normalità psicologica.

Stress, ansia, insonnia, abuso di cibo e sostanze, dipendenza da internet, attacchi di panico, burnout. Sono allarmanti i risultati emersi dall’indagine ‘Come ti senti’, condotta da IrpiMedia per approfondire lo stato della salute mentale dei giornalisti freelance in Italia. …Tra i disturbi più comuni l’87% afferma di soffrire di stress, il 73% di ansia, il 68% sente un senso di inadeguatezza… il 27% ha attacchi di panico…”
https://irpimedia.irpi.eu/cometisenti-indagine-salute-mentale-giornalisti/

È singolare quanto il disturbo di attacco di panico, o semplicemente il disturbo panico, sia sempre stato considerato un ‘terreno di sbarco’ di osservazioni personali e di opinioni, mediche e psichiatriche, piuttosto che frutto di indagini mirate. Così è rimasto una configurazione sintomatica generica, e pertanto associabile ad altri tipi di disturbi come la depressione, la bipolarità, l’ansia, la paranoia e ipoteticamente ricondotto alla competenza psichiatrica.

Originariamente ricondotto all’ansia, oggi sempre di più il panico s’impone come disturbo specifico della sfera nevrotica. Il fatto poi che si manifesti anche nelle professioni ‘normali’ sempre più spesso, obbliga ad una costante osservazione e valutazione che comporta anche una necessaria differenziazione.
Per esempio un articolo della rivista Focus, apparso recentemente su internet, così si esprime a proposito dello scatenamento dei disturbi di panico:

Secondo gli autori dello studio, rintracciare il percorso specifico all’origine degli attacchi di panico è importante anche per distinguere questi episodi dalla generica ansia, che non induce i classici sintomi “fisici” degli attacchi di panico e non sorge in modo così spontaneo e incontrollabile, ma ha piuttosto una componente più “mnemonica” ed è attivata da stimoli più prevedibili.
Attacchi di panico: ecco come si scatenano nel cervello, Focus, 2024

Queste posizioni, che da un lato omaggiano il panico di una specificità che lo distingue da altri tipi di disfunzioni comportamentali, dall’altro continuano a proporsi come promanazioni medico psichiatriche perché suggeriscono la possibilità di controllare gli attacchi di panico inibendo l’attivazione di specifici siti cerebrali.

Ma ricondurre il comportamento panico all’attivazione di specifici organi cerebrali, o siti, impoverisce la complessità del panico che è sempre riconducibile ad una disfunzione di tipo relazionale piuttosto che funzionale.

La ‘disfunzione relazionale’ richiama necessariamente l’interpretazione soggettiva della relazione per la quale si attiva quella complessa configurazione neuro-cerebrale (organismica) il cui esito, a volte, è il panico. Il panico non è l’ansia ma è ‘come’ l’ansia perché corrisponde al modo in cui alcune persone hanno imparato a reagire ad alcune relazioni specifiche nel corso della propria storia evolutiva.

È questa la visione implicita alla base dell’ultima piccola ricerca promossa dalla Lidap!

Il lessico del panico

La Lidap è stata contattata dalla compagnia teatrale milanese “Into The Aquarius” che ha in progetto una performance sul tema del panico. Durante un incontro conoscitivo la regista, Alessandra D’ Agostino, ha chiesto a una socia Lidap di scrivere sei parole che secondo lei erano associabili al panico. Queste parole sarebbero poi state utilizzate, da sei attori, per una performance in cui avrebbero cercato di rappresentare/interpretare le parole suggerite.

Da qui è nata l’idea di proporre lo stesso “gioco” ad alcuni gruppi di auto/mutuo aiuto, sia in presenza che online, da cui è emerso un elenco di 229 parole proposte da 39 panicosi.

Alla fine è stato interessante stilare una sorta di classifica con le parole più ricorrenti dalle quali estrapolare i risultati più significativi. Inoltre è sembrato interessante raggruppare i sinonimi in considerazione del fatto che ognuno potrebbe aver inteso esprimere lo stesso concetto con un vocabolo diverso o, al contrario, concetti diversi con la stessa parola. Nell’intero gioco sembrava importante poter cogliere le emozioni che nel loro complesso potevano essere rappresentative delle relazioni.

La parola che si presenta il maggior numero di volte, e che quindi è la vincitrice di questa raccolta, è PAURA che, con le relative declinazioni di TERRORE e di ANGOSCIA è citata ben 23 volte.

L’emozione della paura sembra colorare tutte le altre parole e anche quando non è utilizzata esplicitamente, sembra sottintesa. Tanto è vero che alcuni l’hanno utilizzata non solo per indicare l’emozione corrispondente ma per significare l’oggetto della paura: DI COSA ABBIAMO PAURA.

Segue SOFFOCAMENTO, a cui è stata associata FAME D’ARIA e AFFANNO, che è evocata per 15 volte.

Sintomo fisico invalidante, il soffocamento trasmette una sensazione decisamente poco piacevole che nel panico deriva dalla sensazione di ‘blocco respiratorio’. Quando si parla di soffocamento le persone si riferiscono alle sensazioni derivanti dalla dispnea delle crisi di panico; l’eccezionalità della sensazione, e la fame d’aria cui si accompagna, genera l’impressione di morte prossima. Spesso queste crisi lasciano nel vestito del panico tracce fisiologiche che, tenute vive da specifiche abitudini respiratorie, possono essere sollecitate e riattivate da eventi relazionali importanti. L’acquisizione di queste abitudini (modalità respiratorie) si possono legare ad eventi relazionali specifici e a modalità interattive particolari (per esempio l’espressione veemente nei confronti di persone care e/o affettivamente importanti, che accelera il respiro e irrigidisce i muscoli intercostali e dorsali, può essere scambiata per vissuti di violenza e innescare una crisi di panico).

Al terzo posto troviamo CONFUSIONE. Il dizionario dei sinonimi fornisce il seguente elenco: DISORIENTAMENTO, SPAESAMENTO, STRANIAMENTO e SGOMENTO. La confusione ricorre 13 volte.

Anche se il termine ‘confusione’ esprime bene lo stato mentale in cui ci si trova quando si è in preda a un ‘attacco di panico’ (si perde la linearità e la lucidità di pensiero e delle sensazioni e vengono meno le capacità di controllo dell’intero organismo), la sensazione di una leggera confusione non smette mai di essere presente nel ‘disturbo panico’. È una vaga dimensione che si rivela anche nella difficoltà ad individuare e separare le emozioni e, a volte, anche a differenziarle dalle sensazioni. La confusione si manifesta specialmente nelle dinamiche relazionali più importanti.

Anche il GIUDIZIO compare per 9 volte e si accompagna con DISISTIMA e VERGOGNA.

Anche se il vestito panico non è una scelta individuale, e quindi non ci si dovrebbe sentire colpevoli del disturbo che si indossa né tantomeno valutarsi negativamente, la presenza della disistima tra i panicosi mostra ancora quanto la ‘salute mentale’ sia vista come uno standard ideale e univoco anche, e forse specialmente, tra chi è convinto di non avercela. Tale concezione rende difficile guardare alle disfunzioni psicologiche come un ‘incidente di percorso’ nella crescita personale, piuttosto che come una malattia. Purtroppo questo modo di vedere il panico alberga anche nelle istituzioni e in alcuni professionisti che, con gli occhiali della certezza e del benessere ideale, ancora faticano a vederlo come un modo soggettivo e particolare di agire la normale spinta formativa.

Questa rigida visione non contempla per esempio il fatto che, la sofferenza che si accompagna al panico, spinge i suoi portatori ad appoggiarsi con umiltà ad un sapere scientifico ed emotivo che li porta ad evolvere empaticamente e diventare persone più forti, sensibili e complete.

Certo, interpretare il panico come un’opportunità non è facile né tantomeno risulta semplice né immediato. Tuttavia gli esperti cominciano a concordare sul fatto che il panico può anche essere visto come una voce del nostro ‘IO’ più profondo che sta cercando di comunicare la necessità di prendere coscienza di qualcosa di importante. Che per esempio è necessario intraprendere una via di cambiamento e autoosservazione per re/integrare e ri/armonizzare le parti che lo compongono.

Proseguendo la nostra graduatoria, con 8 citazioni c’è la parola: BLOCCO/PARALISI.

Impropriamente apparentata con l’idea di freezing (congelamento), che è vista come una delle risposte fisiologiche alla paura e al terrore, quando usato nel gergo dei panicosi tale termine potrebbe ben adattarsi alla descrizione di un altro stato (mentale/fisico); quello in cui il soggetto non riesce a coordinare il corpo per produrre movimenti ben articolati e integrati, per un annebbiamento del cervello la cui consapevolezza sorprende e cancella il pensiero.

Ma bisogna anche aggiungere che, anche quando il cosiddetto blocco è prodotto dall’attivazione degli stessi organi cerebrali che conseguono alla paura, da cui l’eventuale freezing, non è detto che il blocco del panico sia prodotto da eventi spaventosi. Anzi, potrebbe essere il contrario, e cioè che siano proprio gli eventi emotivi che determinano il blocco (per esempio la rabbia o la confusione o l’annebbiamento e la cancellazione dei pensieri) a produrre quelle sensazioni che determinano la paura.

Seguono infine, ex aequo, con punteggio 5 le seguenti parole:

• VUOTO
• MORTE E SENSAZIONE DI MORTE IMMINENTE
• FUGA
• VERTIGINI
• TREMORI/BRIVIDI
• PERDITA DI CONTROLLO

Non c′è dubbio che il disturbo panico è una disfunzione molto complessa; ma è proprio questa sua complessità a dover essere oggetto di studi e ricerche che possano supportare i professionisti nell’individuazione di strategie adatte alla disamina e risoluzione, fisica (organica e funzionale), mentale e corporea (comportamentale) del disturbo.

Anche questa piccola ricerca sulle espressioni verbali dei panicosi sembra dimostrare che, nella descrizione dei propri comportamenti, se vogliamo disturbati, fanno sempre riferimento a momenti interattivi e relazionali. E anche quando l’attacco di panico si manifesta di notte o di giorno nei momenti meno apparentemente relazionali, dormendo o da svegli, è probabile che siano sempre riconducibili ad eventi relazionali fortemente emotivi e che magari sono ben ‘archiviati’ nel segreto della persona.

Nel nostro piccolo, pur condividendo la necessità di arginare le manifestazioni più eclatanti delle crisi di panico, e quindi pur accettando la necessità dell’utilizzo di sostanze chimiche per contenerle, si resta convinti che è necessario continuare a chiedersi il senso del loro utilizzo e lo scopo che con il loro uso si vuole perseguire, nel breve e nel lungo periodo. Questo scopo non può e non deve esaurirsi nel semplice contenimento dei sintomi ma dovrebbe guardare alla completa risoluzione dell’intero processo configurazionale.

Riflessioni e approfondimenti di Giuseppe Ciardiello
[Da una iniziativa di Alessandra Giordani, curata da Cinzia Abbiati]

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